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Questo
saggio su Landolfi si imposta
essenzialmente su una analisi
tematica, ma più propriamente
topologica, strettamente coniugata a
un indirizzo strutturale; indirizzo
orientato non solo a enucleare i
meccanismi narrativi essenziali
dell'opera landolfiana ma a motivare
il senso inerente a determinare
soluzioni, a scavare nel processo
contingente dell'iter narrativo
per ragionare intorno al suo materiale
concretarsi come storia definita e
definitiva. Si trascorre così, in
certo modo, coerentemente, da un'idea
di racconto critico a un'idea di
critica congetturale. Dove Aymone,
fondandosi implicitamente sul
presupposto che sia nel campo
dell'analisi critica come
dell'invenzione narrativa l'originalità
è assai spesso un equivoco, a parare
non di rado la voce assoluta della
prima persona, convoca sulla pagina
l'autore medesimo ed altri autori e
critici illustri, come Debenedetti, a
discutere e a proporre il loro punto
di vista. Circa la questione delle
fonti, un vero e proprio
"almanacco di Gotha della poesia
e del romanzo", come scriveva
Debenedetti, Aymone suggerisce
documentatamente un paio di nomi
sostanzialmente inediti in essa, e di
tutto rispetto: Boccaccio e Leopardi,
senza peraltro rinunciare a precisi
confronti con autori di più acquisita
comparazione. Nel saggio non mancano,
inoltre, ricorsi a un ventaglio
metodologico che va all'a fondo
sociologico e risale all'antropologia,
dalla notazione stilistica al ricorso
psicanalitico.
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