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FRACTIO PANIS

leggendo alcune prediche

del canonico Pasquale Vastano

curate dallo storico Giancarlo Bova

ed. Palladio, Salerno 2022

 

   Leggiamo da una pagina delle prediche del canonico Pasquale Vastano:  “In certe ore tristi, che lasciano tracce profonde nel diario di ognuno di noi, l’anima, schiacciata dalla malizia degli uomini e dai colpi raddoppiati della sventura, sente il bisogno di elevarsi a Dio, per attingere da Lui un’onda eterna di luce, di vita, di beatitudine ineffabile”.

   È la pagina di un diario privato reso pubblico, composta da una guida spirituale che nel confessare il suo umano turbamento avverte la necessità di confrontarsi con i suoi fedeli, condividendone il dolore e la speranza.

   Così una predica può arrivare all’anima come una sonata, di beethoveniana memoria, dove alla denuncia del conflitto segue la sublimità della meditazione.

   Gli uomini confliggono in un mondo ridotto ad “aride sabbie” e “dure pietre”, da attraversare col gran peso delle “afflizioni e amarezze senza numero” che ammalano lo spirito.

   Questi uomini dai “cuori guasti”, viventi nella “indifferenza”, ben informati dei “velocissimi treni” e dei “piroscafi”, non sanno degli asini lenti, delle povere barche, non hanno il passo discreto di Gesù, non hanno mai visto i suoi “limpidi occhi”, il suo “volto sereno”, non hanno cognizione del suo amore.

   C’è da dolersi: “Gli uomini dimenticano Gesù!”, “non si pensa a Gesù”, lasciato solo, in quelle “chiese vuote”, dove è pur sempre pronto a riceverci, “senza raccomandazioni, senza giorni fissi”.

   Oggi, un’afosa mattina d’estate, sono entrato in casa sua, ho preferito una delle “umili chiese” dagli “altari poveri e disadorni” alle “maestose basiliche” dagli “altari di marmo e d’oro”.

   C’era ad accogliermi don Pasquale, a presentarmi a   Gesù, pronto a salvarmi come fece con i pescatori in pericolo, ad “acquietare il vento”, a “calmare il mare” che mi minacciano.

   Il canonico, maestro di greco e di latino, mi traduce con le parole semplici di un “maestro di fanciullini” il pensiero e la vita vissuta di quell’uomo, la vita dell’uomo nuovo mai finita, appena cominciata.

   Con “la parola robustamente tranquilla del Vangelo”, il predicatore, in nome di Cristo, auspica la caduta dei “tiranni” e la giustizia per gli “oppressi”, avverte l’urgenza di “porre fine all’odio fratricida”, fa l’augurio che sia l’“amore” a prevalere sullo “spavento”.

   Si può, si deve amare, “senz’armi né scienza”, come il pescatore Pietro bravo ad apprendere da Gesù “idee nuove”, come il pastorello Vincenzo che pur povero donava “farina” ai poveri, come il ragazzo felice di offrire ai suoi cari il “ramoscello di olivo”.

   Le parole di don Pasquale continuano a fluire come l’acqua limpida d’un fiume sottile, sono note sacre che si moltiplicano: è la “moltiplicazione” dei pani e dei pesci narrata da Giovanni e Marco, è la loro divisione comunitaria, la “fractio panis”, il pane spezzato e distribuito alla “tavola comune”, in nome della solidale communitas più forte di ogni gelosa immunitas.

   Quei “cinque pani e due pesci” buoni a sfamare “cinquemila persone”… quale prodigio!

   Non è matematica né magia, è spiritualità, che asciuga le umide pareti della chiesa dove sono entrato, fa luce ai quadri santi oscurati dal tempo, dà buoni frutti alla “pianta celeste innaffiata dal sangue di Cristo”.

   Lascio il canonico chiudere il diario con la copertina nera come il coperchio d’un pianoforte, l’ultima parola  ora mi vibra dentro come una nota, all’uscita: “Gesù non ci abbandona”.

 

   Antonio Falcone

   Firenze, agosto 2022

         

 

 

 

 

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Aggiornato il: 12 marzo 2023